
Fólkvangar si chiama
il luogo dove Freyja stabilisce
la scelta dei sedili nell’aula;
metà dei caduti
ella presceglie ogni giorno,
e metà Ódhinn.
La sua dimora è Sessrúmnir, che è grande e bella. Quando viaggia, siede su un carro trainato da due gatti. È assai benevola verso gli uomini che la invocano e dal suo nome deriva l’alto titolo con cui sono chiamate le signore: fróvor. Molto le è gradito il canto d’amore. È bene invocarla nelle faccende d’amore.
Così si dice di Freyja nell’Edda di Snorri (Ed.Rusconi 1975 I edizione, traduzione G.C.Isnardi).
Ma la sua storia, per comprendere il suo ruolo e le sue funzioni, è molto più antica.

Freyja è infatti l’evoluzione (è proprio il caso di usare questo termine) di una figura oscura e malvagia appartenente alle tribù matriarcali originarie dell’odierna Russia. Snorri afferma nei suoi racconti che gli Æsir durante la loro migrazione dall’Asia verso il nord della Germania e da lì verso la Scandinavia, incontrarono queste tribù con le quali, a causa di tentativi di corruzione spirituale da parte degli autoctoni, inizialmente guerreggiarono, per poi stabilire una pace funzionale ad un’integrazione sociale. Questo accadde però non prima che le tribù autoctone dei Vanir, rappresentate da Njörðr, Freyr e Freyja (rispettivamente padre, fratello e sorella) si sottoponessero ad un Rito di Consacrazione mediante il quale rinunciarono a parte dei loro costumi. Ciò permise loro di entrare ed integrarsi così a buon diritto insieme agli Æsir, nel Pantheon Nordico, ricoprendo a tutti gli effetti il ruolo di divinità della Terza Funzione ed elevandosi così spiritualmente e socialmente dal ruolo prettamente tellurico e materiale al rango spirituale e divino. La prova di questo riconoscimento la si trova nell’Ynglinga Saga dove si dice che, alla morte di Óðinn, gli Svíar (antichi svedesi) furono guidati prima da Njörðr e alla morte di questi da suo figlio Freyr.
Ad onor del vero i nomi originali e la loro stessa lingua, considerato che la zona di residenza, come afferma lo stesso Snorri, era “al di là del fiume Don “, non appartenevano certo alla lingua norrena, idioma questo che viene invece portato dal Popolo di Odino.
In questo caso può venire in aiuto la linguistica per dipanare eventuali dubbi: il termine frjóa significa “procreare” e friðr, “pace, seme, origine”, parole entrambe derivanti dall’antico islandese, e parallelamente la radice indoeuropea indica l’idea di “pace”, come ci segnala M. Polia nel suo testo “Le Rune e gli Dèi del Nord”. Anche il termine Vanir, derivante dalla parola sanscrita Vanas (Piacere) non risulta essere legato linguisticamente alle tribù autoctone, le quali avevano nomi e termini di derivazione ugrofinnica e non indoeuropea o sanscrita. Pertanto è più che evidente, pur non essendoci prove letterarie o archeologiche, che termini come Vanir, Njörðr, Freyr e Freyja siano stati adottati durante il Rito di Consacrazione e nulla si sa dei nomi e della lingua autoctona usata precedentemente. Questa lunga ma doverosa premessa si è resa necessaria soprattutto per evidenziare che la figura di Freyja ha subìto (fortunatamente) una trasformazione, un’evoluzione spirituale rispetto alle sue origini autoctone. Freyja, rappresentante dei Vanir insieme al padre e al fratello, all’origine appare credibilmente nella figura di Gullveigr, una strega malvagia che causa la guerra tra Άsen e Vanen. Così citano le Stanze 20 e 21 della Völuspá:
Þat man hón fólkvíg fyrst í haimi, er Gullveigu geirum studdu ok í hǫll Háars hána brendu, þrysvar brendu þrysvar borna, opt ósjaldan, þó hón enn lifir.
Ella ricorda lo scontro prima del principio, quando Gullveig ferita dalle lance e le dettero fuoco nella sala di Óðinn, la bruciarono tre volte e tre volte rinacque, e ancora tre volte, ma ella è ancora viva.
Heiði hétu, hvars til húsa kom, vǫlu velspáa, vitti hón ganda; seið, hvars kunni, seið hug leikinn; æ var hón angan illar brúðar.
La chiamarono “Splendente”, in qualunque casa andasse, esperta völva, donava potere magico; incantò, ovunque potesse, incantò i sensi; era sempre bramata dalle spose malvagie.
È indubbio che l’azione di Gullveigr, credibilmente la più potente strega malvagia autoctona, fosse diretta proprio a creare la guerra tra le due tribù, così come è evidente che la stessa, inviata nella cittadella degli Άsen (come cita l’Isnardi), fosse appunto colei che poi in seguito al Rito di Consacrazione acquisì il nome di Freyja.
“Le figure e le azioni mitiche vanno a costituire una serie simbolica di figure e azioni “modello” sulla quale l’uomo può e deve commisurare, riconoscere e rinnovare la propria esistenza”. (Miti Nordici, G.C.Isnardi, ed. Longanesi, p.37).
Ma veniamo alle funzioni di Freyja. Dea della fertilità, della magia, della guerra, della morte, dell’amore, della bellezza, del sesso e della lussuria. Ci si può, in quest’ultimo caso, rifare all’accusa mossale da Loki nella Lokasenna di aver giaciuto con tutti gli Dèi . Anche il prezioso monile Brísingamen forgiato dai Nani lo ottenne concedendosi per una notte d’amore con ognuno dei quattro Nani (Alfrigg, Berling, Grerr e Dvalin); fatto abbastanza inconsueto considerato che la Signora (Freyja) si occupa normalmente dei suoi desideri, mentre questo appare l’unico caso in cui ella cede ai desideri altrui. Sono gli stessi Nani infatti a richiederle una notte d’amore con ognuno di loro in cambio della preziosa collana.
Freyja diviene Sacerdotessa presso Æsir (preposta quindi a condurre i Sacri Riti) ed è riconosciuta come Dea dell’Amore, Amore che comprende sia la purezza sia la lussuria (due facce della stessa medaglia). In tal senso la Dea è stata spesso mal interpretata nei suoi gesti e azioni, soprattutto con pregiudizi di derivazione cristiano-cattolica, dove il sesso è sempre stato visto e vissuto come un elemento che nulla ha a che fare con l’Amore.

Persino la magia che Freyja insegna a Odino ha delle evidenti connotazioni sessuali. Padrona del Seiðr, pratica derivante dalle tribù autoctone che oscilla tra l’estatico e il legamento magico, Freyja ha come la quasi totalità degli Dèi, una doppia valenza, essenza che ricopre in specifici momenti o situazioni. Prova ne è per esempio il suo lato guerriero, non solo perché a lei vanno la metà dei caduti in battaglia, ma anche perché è Signora delle Valkyrie, che sono da annoverare tra le Dísir. Vanadís (Dís dei Vanen) è uno dei nomi della Dea.
Freyja è un concentrato di volontà capace di sostenere il proprio volere. Con un elevato grado di potere al femminile, esercita un’autorità che non può non passare inosservata e non può essere ignorata. Proverbiali sono i netti rifiuti sostenuti con sdegno e rabbia quando in più occasioni si trova ad essere desiderata sessualmente dai Giganti.
Freyja è molto legata a Odino. È a lui che insegna la magia del Seiðr come menzionavo sopra e non a caso lo sposo di Freyja è il cieco Öðr il cui significato sta per “ispirato, invasato, posseduto” (Odino con il nome di Wotan indica lo stato di Furia Estatica che il Grande Padre possiede e concede ai suoi adepti e seguaci) ed è verosimilmente legato alla stessa radice da cui deriva il nome di Óðinn. Come Óðinn, Óðr è collegato alla magia e ai lunghi viaggi, così lunghi che la Dea piange lacrime di oro rosso cercandolo nel disperato tentativo di ricongiungersi a Lui.

Freyja ha come animali ”totemici” il gatto (due trainano il suo carro) e il falco (con un abito fatto di penne del rapace vola a piacimento attraverso il mondo).
Cavalca Hildisvíni (cinghiale di battaglia) e la capra Heiðrún, dalle mammelle della quale sgorga l’idromele che disseta i guerrieri in Valhöll.
Freyja ha due figlie: Hnoss e Gersemi, i cui nomi sono entrambi riconducibili al termine “gioiello”, altra caratteristica che lega la Dea alla Bellezza, alla ricchezza e alla fertilità (non tanto della produzione agricola quanto del Ben-Essere).
Freyja è una Dea molto complessa e molto amata sia dagli uomini che dalle donne. E osservando quanto scritto sopra, vale a dire un piccolo contributo alla sua Bellezza (nel senso più ampio del termine), non potrebbe essere altrimenti.
HEIL FREYJA!

Úlfgaldr Valtýsson