Esiste una teoria in cui si parla dell’esistenza di una sostanza nera aliena grazie alla quale si può distruggere o creare la vita, si tratta della teoria del Black Goo. Questa sostanza nera sarebbe stata usata da quei fondatori o colonizzatori dell’umanità terrestre i quali avrebbero dato vita e via via manipolato la genetica umana proprio attraverso questa sostanza che deriverebbe addirittura dal loro stesso corpo distrutto, annientato. Qui riprendiamo la mitologia degli Déi e degli esseri primordiali che attraverso il loro stesso sacrificio generano i mondi e la vita. Gli Déi che rinunciano alla loro totalità per dar corso ad un divenire sensoriale, esistenziale, incarnato. Il concetto stesso della frantumazione dello specchio, il concetto del sacrificio del divino grazie al quale si da la vita. Secondo questa teoria ci sarebbero addirittura dei residui di questa sostanza black goo all’interno delle mummie e delle tombe egizie.
Aldilà del mito, che ha un suo costrutto filosofico e teoretico preciso (cioè il divino che si incarna rinunciando alla propria onniscienza, onnipresenza, onnipotenza, proprio per esplorare le dinamiche della relazione, del libero arbitrio, della vita nella sua complessità e nelle sue infinite variabili attraverso le quali produrre nuova coscienza di sé), in una chiave di lettura aliena ecco che gli alieni colonizzerebbero la Terra, così come altri mondi e pianeti, proprio attraverso questa sostanza che deriverebbe dal loro stesso corpo. Questa sostanza poi raccolta tecnologicamente (da una particolare elite) sarebbe poi usata per questo tipo di elaborazioni genetiche e che sarebbe, a sua volta, una specie di virus. È una teoria interessante che senza dubbio pretende mettere sotto la lente un possibile “dietro le quinte” del mondo reale, ma vorrei soffermarmi sull’aspetto del sacrificio come origine della vita.
Leggendo le cosmogonie di diverse culture troviamo questo “passaggio” rigoroso per la creazione della vita. Nel Mito Nordico la creazione del mondo avviene dal sacrificio del gigante Ymir per mano del dio Odino e dei suoi fratelli Vili e Vé. Dal suo corpo annientato creano la terra, dal sangue si forma l’acqua, dal cranio si ricava la boveda celeste e così via si da origine al mondo che conosciamo.
Nel Mito indiano succede una cosa simile: gli déi sacrificano un gigante cosmico e dal suo corpo smembrato si forma il cosmo, la società e persino i versi e le canzoni dei Veda.
Il Mito più significativo delle origini del mondo in Cina è quello del gigante Pan Gu. Nel suo ruolo di uomo cosmologico che muore per creare la vita, diventa un pilastro del mondo che tiene separati cielo e terra, e un artigiano dal cui corpo corpo emerge la vita: i fiumi, le montagne, la vegetazione, ecc. La rottura dell’uovo cosmico, una massa caotica, amorfa e confusa simboleggia l’ingresso dell’essere umano nella coscienza e il passaggio dalle tenebre alla luce, ma anche come un processo degenerativo e trasformativo, la cui tendenza è il ritorno all’essenza iniziale originaria e unitaria.
Quindi, il sacrificio è l’azione per eccellenza, l’azione significativa, il karma in terminologia buddista (karman è un termine che in sanscrito antico significa semplicemente “azione”). Quando si compie con il proprio dovere, con il proprio karma adeguato allo status sociale e rituale al quale si appartiene allora l’azione rende i suoi frutti.
Purtroppo la parola “sacrificio” è impregnata da connotazioni negative, anzi, dolorose, per dirla meglio, è sinonimo di sofferenza e di rinuncia grazie all’influenza cattolico-cristiana. Ma il sacrificio è tutt’altro che negativo e qui mi ricollego alle antiche tradizioni, per esempio su quella nordica dove gli uomini e le donne che veneravano Odino non temevano né il sacrificio ne la morte. Lo stesso vale per i popoli mesoamericani dove il sacrificio era un’azione sacra a tutti gli effetti e la morte si percepiva come un cambiamento, una nuova condizione di vita.
Il Sacrificio, dal latino sacrificium: sacer + facere =”rendere sacro”, per gli antichi era proprio un’azione sacra, cioè in stretto collegamento con le divinità, quindi stando a questo concetto spogliato da connotazioni di paura, di moralmente sbagliato, di oscuro e sinistro e tanto altro ancora, ecco che allora questa azione, contestualizzata, adattata al nostro quotidiano può essere vista come la ri-creazione dell’universo dove gli elementi sono continuamente nelle braccia della ciclicità. Quindi il sacrificio rappresenta una ri-creazione attiva dello smembramento cosmico iniziale di una divinità o materia primeva che celebra la ciclicità e, celebrando questa ciclicità non si può che dare nuova vita attraverso la morte.
La radice latina di mactare, “sacrificare ritualmente”, è infatti riconducibile all’indoeuropeo *mag-, che vuol dire grandezza, potenza, indicando con ciò non un annichilimento della “vittima” bensì un suo “potenziamento”, ovvero il ricongiungimento di quest’ultima con la divinità di riferimento.
Dunque, possiamo concludere che bisogna rivedere e riprogrammare i concetti di base prima di abbracciare un culto diverso da quello monoteista, qualunque esso sia, altrimenti si finirà per fare un minestrone dal sapore amaro e confusionario che invece di avvicinarvi al sacro finirà per allontanarvi sempre di più lasciandovi incapaci di donarvi, essere e sacrificarvi in piena consapevolezza e la cosa peggiore, secondo me, è che vi travolgerà dentro l’ego smisurato, l’illusione e il delirio pseudo-spirituale.
scritto da Luna
Fonti:
The Norse Myths: A Guide to the Gods and Heroes. Carolyne Larrington. Thames & Hudson Publisher.
El hinduismo, gavin flood. Ediciones akal. 2008
Pensamiento budista, una introducción completa a la tradición india. Paul williams, Anthony Tribe y Alexander Wynne. Herder editorial. 2012
Immagine: Bifrost.it