01 ottobre, 2023

Berserkir e Úlfheðnar: le confraternite guerriere.

Berserkir e Úlfheðnar: le confraternite guerriere.

Secondo Slawik vi sono affinità di una certa rilevanza tra gli antichi Giapponesi e gli antichi Germani e tali società si ritrovano come elemento comune nelle culture indoeuropee, pensate come princìpi fondamentali della collettività stessa, create con scopi comuni, gestiti ed organizzati attraverso regole e rituali consolidati nel tempo. Relativamente a queste congregazioni guerriere del nord – conosciute come Berserkir (camicie d’orso) e Úlfheðnar (casacche di lupo) – non è possibile sostenere che esse presentino tutte le caratteristiche del classico sciamano, in quanto la loro preparazione era oggettivamente destinata ad esclusivi scopi bellici. Nelle saghe norrene si fa riferimento a questi guerrieri che formavano gruppi di combattenti particolarmente potenti e temuti dagli avversari. Nelle descrizioni che seguono si possono ritrovare diversi elementi propri degli operatori dell’estasi. Nell’Ynglinga Saga e riferendosi a Odino si legge: “I suoi uomini invece avanzavano senza corazza invasi dalla furia come lupi o cani mordevano nei loro scudi, erano forti come orsi o tori, sterminavano folle intere. Né il ferro né il fuoco li potevano [fermare] e questa è detta “furia dei berserkir”

Gruppo omogeneo di uomini (männerbunde), uniti tra loro da un forte legame e votati a Wotan-Odino, entravano a far parte della congregazione attraverso un addestramento che annoverava, come si è detto, tecniche, elementi sciamanici e un’iniziazione collegata alla runa Uruz.

«Wodan id est furor» scriveva Adamo da Brema, indicando come la radice stessa del nome Wotan avesse a che fare con la furia (wodhiz), la stessa furia sovrumana che coglieva i Guerrieri Sacri durante i loro rituali grazie ai quali erano in grado di canalizzare quella potente energia conosciuta come Önd ed entrare così nella condizione di wodhiz, il furore guerresco ispirato.

Per comprendere maggiormente questo aspetto è necessario analizzare la sfera semantica della radice indoeuropea di Wotan che è wat e che sta ad indicare la “furia divina” (di cui anche l’antico irlandese faith cioè veggente, profeta). Wat è la dimensione sovrumana alla quale si apre il guerriero sacro e attraverso la quale egli raggiunge lo stato di estasi guerriera. Essa permette di trascendere la mente umana ed entrare in una dimensione più elevata, incanalando l’energia sovrumana che sarà poi usata in battaglia. In passato per canalizzare questo stato i guerrieri dovevano accedere all’hamrammr, il mutamento di forma.

Tale stato veniva acquisito attraverso particolari rituali che in molti casi contemplavano l’uso di sostante psicotrope come l’amanita muscaria, il celebre fungo allucinogeno che si trova spesso nelle fiabe odierne. Pervasi da una furia sovrumana insufflata dallo spirito del dio stesso, divenivano forti come orsi o tori, insensibili al ferro e al fuoco e pervasi da un calore così potente che poteva sciogliere la neve semplicemente standovi seduti sopra.

Da un punto di vista squisitamente sciamanico, la capacità di resistere al freddo controllando il calore del proprio corpo, si ritrova presso gli esquimesi, i manciù e i siberiani, e questo ci porta a supporre come concezioni e tecniche proprie dello sciamanesimo nord-asiatico siano in qualche modo vicine alla mitologia e religione delle antiche popolazioni del nord Europa. La resistenza al freddo resa possibile dal “calore mistico” o l’insensibilità al fuoco denotano entrambe uno stato “superumano” raggiunto: “Spesso l’estasi sciamanica la si ottiene solo dopo il “riscaldamento”. Vi è ragione di supporre che l’uso delle droghe sia stato favorito dalla ricerca del “calore magico” (M.Eliade: Lo Sciamanismo). Vale la pena ricordare, inoltre, come lo stesso Eliade sottolinei che l’uso delle sostanze psicotrope sia il risultato dello stato di decadenza di uno stato privilegiato.

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Una particolare attenzione meriterebbe inoltre il concetto della bevanda sacra che mette a contatto l’uomo con le divinità, cosa questa che non è assolutamente estranea alle prime culture indeuropee (a tal proposito si veda la figura del dio-bevanda “Soma” ne Le Sorti del Guerriero di G. Dumezìl, Milano, 1990). Il risultato di tali pratiche permetteva al guerriero di “andare fuori di testa”, cioè di trascendere la parte razionale facendosi impossessare dallo spirito del dio. Una volta entrati in questa condizione, i guerrieri diventavano così furenti da risultare incontrollabili, insensibili al dolore e alla fatica, seminando il panico tra le schiere nemiche e risultando pericolosi anche per gli stessi amici. Questa frenesia permetteva loro di recarsi in battaglia seminudi, indossando solo la pelle del loro animale totemico. Prima del combattimento venivano presi da questa estasi mistica, ringhiando, ululando e ruggendo e nella mischia dimostravano una forza disumana, non avvertendo il dolore delle ferite e combattendo come belve inferocite.

La figura di questi guerrieri nordici dalle forti connotazioni sciamaniche si fonda principalmente sul “Contratto con il Dio” per ottenere protezione. Si sa infatti che Odino/Wotan, fecondo di vittoria (sigrsæll), benedice i suoi imponendo loro le mani sul capo (gafheimbjanak) in un gesto ieratico, veicolo di sicura protezione. La somma di tutte queste azioni permetteva ai Berserkir e Úlfheðnar di incanalare il wodhiz, uno stato di furore che nel combattente produceva il berserkrgangr (la furia del Berserkr), termine usato anche per gli Úlfheðnar.

Anche in taluni racconti celtici troviamo figure di guerrieri assimilabili ai guerrieri sacri odinici: Radnor, principe gallese, muove guerra ai suoi nemici in forma di lupo; il libro Le meraviglie dell’Irlanda, scritto all’incirca nel 13° secolo, sostiene che «esistono alcuni uomini che hanno il potere meraviglioso di assumere a loro piacere la forma di un lupo» e anche nella letteratura arturiana (peraltro molto influenzata dalla religione emergente del cristianesimo) si fa riferimento ad un cavaliere di nome Ulfius (evidente la radice scandinava úlf la cui traduzione è lupo), assistente di Uther Pendragon, che viene consegnato alla storia contemporanea come appartenente al Clan del Lupo. Questo fatto potrebbe forse indicare una possibile influenza delle genti scandinave su quelle celtiche anche in fatto di sciamanesimo, benché non esistano prove concrete di uno sciamanesimo celtico, almeno secondo i parametri comuni attraverso i quali si identifica un percorso sciamanico. E ancora le gesta del leggendario eroe irlandese Cuchulainn al quale spuntavano più occhi durante la battaglia e che arriva persino, pervaso dal furore guerriero, ad uccidere il proprio figlio perché non lo riconosce. Nel Táin Bö Cuålnge riassunto e tradotto da Dumézil in Horage et les Curiaces si legge: “fu messo nel primo tino ed egli infuse nell’acqua un calore tale che l’acqua spezzò le tavole e i cerchi del tino come si spezza un guscio di noce. Nel secondo recipiente l’acqua fece bolle grosse come un pugno. Nel terzo tino il calore fu del grado che alcuni riescono a sopportare ed altri no. Allora la collera (ferg) del fanciullo diminuì e gli furono messe indosso le vesti»

Anche per i guerrieri scandinavi il calore poteva essere un problema, al punto tale che un eccesso di temperatura poteva ucciderli. I Berserkir furono per lungo tempo le guardie del corpo del re di Norvegia. Essi traevano la forza dall’orso, loro animale “totemico”. Questo animale incarna un’entità selvaggia oscura e pericolosa che proviene dalla foresta e dalle caverne dove le forze della natura e della terra sono conservate nella loro condizione originaria e difficile da dominare. Inoltre nella simbologia dell’orso va ricordato che «esso incarna l’aspetto aggressivo e distruttore, perciò è pericoloso per le donne avere a che fare con lui. Ciò spiega la ragione per cui dei Berserkir  è detto che dovessero rimanere celibi» (G.C. Isnardi: “I Miti Nordici”).

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Stamford Bridge. Il 25 settembre 1066 una spedizione di vichinghi norvegesi comandata da Harald Hardråde si scontrò militarmente con l’esercito inglese. La battaglia volse a favore degli inglesi. Le cronache che raccontano lo scontro parlano di un solo guerriero Berserkr che tenne la testa del ponte sul fiume per oltre un’ora, contrastando l’esercito nemico e dando ai compagni il tempo di riorganizzarsi. La cronaca racconta che armato di una scure da solo abbatté più di quaranta avversari. Questi riuscirono ad eliminarlo solo passando sotto il ponte con una barca e colpendolo dal basso con una lunga lancia.

Ma per acquisire certi poteri è necessaria una vera e propria iniziazione: “Si diventava Berserkr a seguito di un rito iniziatico a base di prove di carattere eminentemente bellico. Per esempio, Tacito ci dice che presso i Chatti chi era in procinto di entrare a far parte della fratria non poteva radersi barba e capelli prima di aver ucciso un nemico. Presso i Taifali il giovane uomo doveva abbattere un cinghiale oppure un orso mentre per gli Heruli doveva impegnarsi in un combattimento, benché privo di armi. Tramite queste prove l’aspirante adepto si sarebbe appropriato del modo di essere una fiera: diveniva un guerriero temibile nella misura in cui si comportava come una belva da preda. Si trasformava così in un super-uomo in quanto era riuscito ad assimilare la potenza magico-religiosa che spartiva con i carnivori stessi”. (M. Eliade, Initiation, Rites, Sociétés secrètes, Ed. Gallimard, Parigi, 1976)

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Gli Úlfheðnar non sono invece da confondere con la figura del lupo mannaro (vargr-úlfr) che appare nella tradizione nordica e che risulta essere più una malattia che non un impossessamento divino. L’Úlfeðinn (singolare di Úlfheðnar) indossava una tunica di lupo chiamata vargstakkr e aveva come animale totemico il lupo, sacro a Odino, che simboleggia la forza selvaggia oscura e pericolosa. Il guerriero si impadronisce di queste forze che implicano però un’oculata gestione per non rischiare di esserne fagocitati.  Levalois nel suo Il simbolismo del lupo afferma: “Nelle fratrie si accomunavano i due aspetti tipici del lupo: uno positivo, costruttivo, l’altro negativo e distruttore. Gli uomini-lupo possono essere veri e propri guerrieri, validi baluardi dell’intera comunità. Ma l’ebbrezza li può sempre coinvolgere in un processo degenerante. In questo caso l’estasi diviene demenza e travalica con tutta la sua forza per tutto distruggere, senza distinzioni. Alcuni testi scandinavi citano il caso di guerrieri che, presi da codesto cieco furore, massacrano i loro compagni d’armi. Questo si verifica quando il polo è perduto ed il guerriero non obbedisce più all’autorità spirituale. È il mondo del basso a farne, allora, uno strumento di dissoluzione per favorire la venuta delle tenebre”. (C. Levalois, Il simbolismo del lupo, Ed. Arktos, Carmagnola (To), 1989)

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Al contrario della loro controparte dei Berserkir che doveva rimanere celibe, i guerrieri Úlfheðnar avevano un’impostazione completamente diversa. Przyluski nel suo Les Confréries de loup-garous dans les sociétés indo-européennes (1940) sostiene che «l’attività dei giovani uomini non si orienta solo verso la caccia e la guerra ma è anche regolata dalla sessualità. L’importanza dei männerbunde non deve farci dimenticare che il gruppo delle giovani ragazze, organizzate o no che siano, rappresenta la controparte indispensabile alla fratria degli adolescenti maschi» (C. Levalois, Il simbolismo del lupo, Ed. Arktos, Carmagnola -To-, 1989)

Guerra e magia: nella Saga di Hrólfr si racconta come lo spirito del Berserkr Böðvarr combattesse in forma d’orso contro le schiere nemiche facendone strage, mentre il suo corpo giaceva nella tenda come se dormisse, cosa questa che ci riporta alle peculiarità di Odino, dio mago e sciamano.

La lotta attraverso l’uso del proprio spirito (hugr) è presente anche in altri racconti, dove si fa riferimento a scontri magici tra maghi e guerrieri, seppure non appartengano alle comunità sopraccitate. Nel Chronico Norvegiae si racconta che «uno sciamano che cercava di riprendere l’anima di una donna morta improvvisamente, cadde lui stesso morto, con una terribile ferita al ventre. Intervenne un secondo sciamano a resuscitare la donna che allora riferì di aver visto lo spirito del primo sciamano attraversare un lago in forma di tricheco: in quel momento qualcuno lo aveva colpito con un’arma e la ferita si trovava riprodotta sul cadavere» (M. Eliade, Lo Sciamanismo)

Il mutamento in forma animale è sempre stato prerogativa delle capacità magiche di tutti i popoli arcaici.

“Questi guerrieri di Odino possono essere divisi in due “categorie”: da una parte vi sono i Berserkir  e gli Úlfheðnar che sembrano partecipi dei suoi doni di metamorfosi e della sua magia, siano essi di tipo “invasato” o nobili, cavallereschi e seducenti, come Sigurðr, l’esempio più celebre; dall’altra vi è il berserkr degenerato protagonista di talune saghe nordiche, diventato un brigante senza morale e vergogna, terrore dei contadini e della povera gente.” (C. Sighinolfi, I guerrieri-lupo nell’Europa arcaica, Ed. Il Cerchio, Rimini, 2004)

Questo farebbe pensare a due possibilità: o tali racconti sono stati volutamente distorti allo scopo di demonizzare queste figure così tanto temute, oppure con il passare delle migliaia di anni la sacralità della trasformazione e il Contratto con il Dio sono venuti meno. Perdendo il polo spirituale, così come affermato precedentemente da Levalois, la venuta delle tenebre ha avuto ragione su ciò che in epoca arcaica aveva invece una connotazione trascendente, seppur ferocemente guerriera.

Tratto dal libro: “Sulle tracce dello Sciamanesimo Scandinavo, dalle sue radici ai giorni nostri”

di Úlfgaldr Valtýsson (Massimo Nobili)

Άsa-Ódhinn Editore




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