« […] Segeste, un uomo di quel popolo [i Cherusci] rimasto fedele ai Romani, insisteva che i congiurati venissero incatenati. Ma il fato aveva preso il sopravvento ed aveva offuscato l’intelligenza di Varo […] egli riteneva che tale manifestazione di fedeltà nei suoi riguardi [da parte di Arminio] fosse una prova delle sue qualità […] »
« [Varo] pose la sua fiducia su entrambi [Arminio ed il padre Sigimero], e poiché non si aspettava nessuna aggressione, non solo non credette a tutti quelli che sospettavano del tradimento e che lo invitavano a guardarsi alle spalle, anzi li rimproverò per aver creato un inutile clima di tensione e di aver calunniato i Germani […] »
(Velleio Patercolo, Storia romana, II, 118; Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LVI, 19)
Varo, accompagnato da Arminio, marciò verso ovest, ma fu costretto a mutare il percorso, finendo nella foresta di Teutoburgo, esattamente dove voleva il cavaliere cherusco, che era consapevole di non poter battere i romani in campo aperto.
Unico caso della storia in cui un comandante è al comando di entrambi gli eserciti contrapposti, Arminio fece lanciare un attacco alla colonna romana e con questa scusa si allontanò per unirsi ai barbari.
« […] il piano procedeva come stabilito. [Arminio e i suoi Germani scortarono Varo] […] e dopo aver ottenuto il permesso di fermarsi ad organizzare le forze alleate per poi andargli in aiuto, presero il comando delle truppe [quelle nascoste nella selva di Teutoburgo], le quali erano già pronte sul luogo stabilito [per l’agguato] […] dopo di ciò le singole tribù uccisero i soldati che erano stati lasciati a presidio dei loro territori […] e poi assalirono Varo che si trovava nel mezzo di una foresta da cui era difficile uscire […] e là […] si rivelarono nemici […] »
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LVI, 19)
La colonna romana, distesa su molti chilometri e formata da tre legioni e diversi reparti ausiliari, venne attaccata puntualmente e ripetutamente, senza che i romani potessero opporre una vera e propria resistenza, non potendosi schierare a battaglia.
« […] i barbari, grazie alla loro ottima conoscenza dei sentieri, d’improvviso circondarono i Romani con un’azione preordinata, muovendosi all’interno della foresta ed in un primo momento li colpirono da lontano [evidentemente con un continuo lancio di giavellotti, aste e frecce] ma successivamente, poiché nessuno si difendeva e molti erano stati feriti, li assalirono. I Romani, infatti, avanzavano in modo disordinato nel loro schieramento, con i carri e soprattutto con gli uomini che non avevano indossato l’armamento necessario, e poiché non potevano raggrupparsi [a causa del terreno sconnesso e degli spazi ridotti del sentiero che seguivano] oltre ad essere numericamente inferiori rispetto ai Germani che si gettavano nella mischia contro di loro, subivano molte perdite senza riuscire ad infliggerne altrettante […] »
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LVI, 20, 4-5)

Tuttavia, nonostante questo, i romani resistettero per tre giorni. Alla fine del primo giorno, sebbene le perdite fossero numerose, Varo riuscì ad accamparsi su un’altura.
Il terzo giorno fu la fine: riprese a piovere copiosamente e decimati, i romani furono attaccati senza tregua. Varo si tolse la vita, mentre i sopravvissuti che avevano quasi raggiunto l’uscita della foresta furono quasi del tutto massacrati dai germani.
Tre legioni (la XVII, XVIII e XIX) furono sterminate e mai più ricostruite. Quando la notizia giunse a Roma Augusto perse completamente la testa, sia per la rabbia sia per il timore di un’invasione germanica.
« Quando giunse la notizia… dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba ed i capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte e gridando: “Varo rendimi le mie legioni!”. Dicono anche che considerò l’anniversario di quella disfatta come un giorno di lutto e tristezza”. »
(Svetonio, Vite dei dodici Cesari II, 23)
Tratto da: http://storieromane.altervista.org